Negli ultimi mesi si è inasprita la guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina e ciò potrebbe portare conseguenze molto gravi per l’economia globale. Il “conflitto” si gioca su più fronti, ma una tematica risolutoria e di importanza vitale è quella relativa alla produzione e all’export di terre rare.
Cosa sono le terre rare?
Non tutti sono a conoscenza dell’esistenza di questi elementi, tuttavia essi fanno parte della nostra vita quotidiana essendo, per esempio, la materia prima con cui si produce qualsiasi dispositivo che utilizza con batterie ricaricabili. Le terre rare (REE: rare earth element) sono 17 elementi chimici che si distinguono in leggeri (Lantanio, Cerio, Praseodimio, Neodimio e Samario) e pesanti (Europio, Gadolinio, Terbio, Disprosio, Olmio, Erbio, Tulio, Itterbio e Lutezio) il cui utilizzo spazia in innumerevoli settori industriali. Non tutti questi elementi presentano delle caratteristiche simili, infatti si distinguono lo Scandio e l’Ittrio dai restanti 15 elementi definiti lantanoidi.
Per quanto il loro nome ne sembri suggerire una scarsa diffusione, in realtà questi elementi sono più comuni di quanto non si creda: secondo varie stime si ritiene che sul globo siano presenti circa 100 milioni di tonnellate di terre rare, una quantità sufficiente a soddisfare il fabbisogno attuale per oltre 4 secoli. Tuttavia, ciò che rende queste terre preziose sono le costose tecnologie di estrazione e raffinazione necessarie, nonché l’impiego di personale altamente specializzato.
A cosa servono?
Le particolari proprietà delle terre rare, come le ottime caratteristiche magnetiche che permettono ai magneti fabbricati con questi elementi di essere più potenti e meno pesanti di quelli convenzionali, oltre che mantenere le proprie proprietà ad alte temperature – hanno fatto sì che diventassero indispensabili nell’ambito della produzione della gran parte dei prodotti tecnologici quali satelliti, smartphone, fibre ottiche, motori di veicoli elettrici ed altre innumerevoli applicazioni.
Tuttavia, la loro importanza strategica raggiunge l’apice all’interno del settore militare; infatti, elementi quali l’Olmio e il Neodimio sono fondamentali per la produzione della maggior parte delle armi più sofisticate e dei sistemi balistici delle forze armate di tutto il mondo.
Proprio per il loro utilizzo in settori così importanti, la richiesta di questi elementi è in crescita di pari passo solo alla domanda dei metalli preziosi.
Chi le possiede?
Prima della metà degli anni Sessanta i principali produttori erano gli Stati Uniti, grazie alle riserve della miniera di Mountain Pass, nel sud-est della California. Tuttavia, a partire dalla fine degli anni novanta, il primato è passato a Pechino, che ha gradualmente monopolizzato la produzione globale di questi elementi.
Questa posizione monopolistica si è venuta a formare grazie alla politica di sussidi che Pechino ha posto in essere in favore dell’industria mineraria interna.
Infatti, negli anni novanta, gli estrattori cinesi hanno potuto vendere a prezzi inferiori rispetto a quelli concorrenziali americani e russi grazie ai sussidi statali.
Inoltre, la Cina ottiene oltre il 50% delle sue terre rare come prodotto di scarto dalle miniere di ferro e ciò implica nessun costo di estrazione diretto. A questi vantaggi vanno aggiunti quelli del costo inferiore del lavoro, del capitale e la scarsa attenzione alle tematiche ambientali.
Il monopolio cinese
Grazie al monopolio nel campo delle terre rare, il Dragone Rosso possiede un potere contrattuale nei confronti degli altri stati che va sempre più crescendo, pur rimanendo lontano dell’attenzione pubblica.
L’esempio più lampante si è avuto a seguito dei provvedimenti che l’amministrazione statunitense ha attuato nei confronti di Huawei, che rappresenta uno dei più grandi produttori di smartphone e tablet al mondo. L’intelligence americana aveva dichiarato come “pericolosi” i prodotti e sistemi Huawei in quanto in grado di spiare le comunicazioni degli utenti americani.
Tramite le restrizioni si è imposto alle società americane di interrompere i rapporti commerciali con la casa di Shenzhen; in particolare Google ha revocato la licenza di utilizzo di Android che consente a Huawei di installare sui suoi smartphone il sistema operativo dotato di funzionalità senza le quali vengono meno numerosi servizi Google.
Tutto ciò ha destabilizzato i mercati e scaturito la pronta reazione della Cina. Se per alcuni la risposta ai provvedimenti americani è stata la semplice scelta di Huawei di internalizzare la produzione del sistema operativo per i propri smartphone, in realtà la reazione è stata decisamente più forte ed efficace, seppur silenziosa.
Pechino ha infatti minacciato di interrompere il rifornimento di terre rare agli Stati Uniti rischiando di mettere in ginocchio l’intero comparto tech americano che dipende in maniera vitale dal rifornimento dei 17 elementi di cui la Cina è monopolizzatrice.
La forza della Cina scaturisce anche dal fatto che le possibili fonti di approvvigionamento di terre rare alternative sono possedute dalla Russia, con la quale i rapporti commerciali sono tutt’altro che idilliaci e dai territori africani che però sono anch’essi sotto il controllo cinese.
È chiaro come in questa disputa sino-americana gli Stati Uniti presentano un tallone d’Achille nei confronti del Dragone Rosso; non per niente il 10 Maggio, in sede di aumento dei dazi dal 10% al 25% su 200 miliardi di prodotti del gigante asiatico, non vi è stato nessun aumento per questi elementi, il che dimostra l’importanza strategica delle terre rare.
Come dovranno muoversi in futuro gli altri paesi?
Con l’implementarsi della tecnologia e delle applicazioni high-tech le terre rare assumono un ruolo strategico cruciale per tutti i paesi, non soltanto per l’America.
Pertanto, la posizione monopolistica della Cina implica la necessità, per Stati Uniti, Europa e Giappone, di doversi garantire un sicuro e stabile rifornimento di terre rare che possa prescindere dalle politiche di Pechino, che a sua volta sembra intenzionata a sfruttare la propria posizione dominante in favore dei propri player e a sfavore di quelli stranieri.
La necessità di guardare altrove, non è una semplice ipotesi, ma una possibilità al vaglio della Defense Logistics Agency, agenzia americana che si occupa dell’import statunitense per il dipartimento della difesa USA. La DLA ha infatti di recente rivelato di essere alla ricerca di fonti alternative al di fuori della Cina, dichiarazioni che hanno dato fortissimo slancio in borsa alle poche società Africane non sotto il controllo cinese.
È evidente come la Cina possa utilizzare il proprio dominio sulle terre rare come leva nei rapporti commerciali ed è fondamentale dunque per gli Stati Uniti poter intrattenere rapporti favorevoli nei confronti del Dragone Rosso e per l’Europa è auspicabile una politica comune tra gli stati membri per poter avere una strategia omogenea e coerente.
Le terre rare e la loro gestione non rappresentano una banale disputa commerciale ma uno strumento coercitivo che la Cina ha in mano per poter implementare il proprio status di potenza economica mondiale.
La reazione degli altri stati è necessaria ma si deve basare su un dialogo col gigante asiatico, sulla ricerca di materiali alternativi e sul riutilizzo dei materiali già sfruttati nelle tecnologie già prodotte.
“Chi è prudente sarà vittorioso”, questo insegnava Sun Tzu ne “L’arte della guerra”, ed è un monito importante che deve essere colto dagli stati occidentali e dal Giappone per poter al meglio confrontarsi con la Cina anche perché nelle “trade war” non c’è quasi mai un vincitore, e se questa volta ci fosse, la Cina avrebbe la mano migliore tra i propri avversari.