Il Regno Saudita, potenza regionale sunnita del Medio Oriente, vuole continuare ad esercitare una forte influenza geopolitica sui paesi del Golfo. Dopo l’avvento del nuovo sovrano Salman nel gennaio 2015, la politica estera di Riyad ha compiuto un cambio radicale. Nel Marzo del 2015 è intervenuta pesantemente nella guerra civile in Yemen, attaccando i bersagli militari dei ribelli sciiti Houthi. Nonostante il costoso sforzo bellico, i ribelli Houthi, sostenuti dall’Iran , hanno retto ai raid sauditi e hanno eseguito attacchi, con lancio di missili, alle postazioni saudite basate al confine meridionale dell’Arabia Saudita. Altro scontro per il controllo dello scacchiere mediorientale è quello diplomatico, il quale sta avvenendo con l’Iran. I maggiori “campi di battaglia” sono la Siria e lo Yemen. In Siria la monarchia dei Saud sostiene i gruppi ribelli che combattono il governo alawita di Bashar Al Assad, costola dell’islam sciita, che è appoggiato da Teheran. Ora Riyad, oltre a mantenere la sua politica “imperiale” mediorientale, deve fare i conti con la diversificazione della sua economia totalmente dipendente dal petrolio.
Economia e risorse energetiche
L’Arabia Saudita è sia uno dei principali produttori, sia uno dei principali esportatori di petrolio al mondo. Le entrate statali sono infatti costituite principalmente dall’export petrolifero (80-90%). Il petrolio rappresenta dunque circa la metà del PIL nazionale e quasi l’85 % dei proventi che derivano dalle esportazioni. Membro dell’OPEC, l’organizzazione che gestisce la produzione petrolifera mondiale, Riyad può influenzare le politiche degli altri paesi membri. I Sauditi spesso hanno condizionato le decisioni dell’OPEC per obbligare al rispetto delle quote produttive e per mantenere stabile il mercato del greggio. La produzione petrolifera è determinante sia per la stabilità del regno sia per continuare ad avere una crescita costante; allo stesso tempo l’instabilità del barile è fonte d’incertezza per Riyad. Dopo un crollo avvenuto nel 2009, il prezzo del greggio è risalito nel 2011, spinto dalle primavere arabe e dalla minaccia nucleare di Teheran. Questi fattori hanno fatto registrare prezzi che hanno raggiunto i 120 dollari al barile, contribuendo alla crescita del Prodotto Interno Lordo Saudita. Il surplus è stato fondamentale per la monarchia saudita, che è riuscita ad arginare le tensioni interne con l’aumento della spesa pubblica: sussidi, stipendi, nuove assunzioni nella Pubblica amministrazione e programmi abitativi. Nel 2014 è iniziato un lento e persistente calo del prezzo, che ha costretto Riyadh a rivedere le strategie di politica economica. Il governo saudita ha dovuto riscrivere le proprie politiche per evitare un default dell’apparato petrolifero, che avrebbe potuto minare alla stessa esistenza del Regno dei Sa’ud. Il governo, in quel contesto, si è attivato sponsorizzando politiche di privatizzazione, anche nel campo dell’energia, supportate da provvedimenti mirati ad attrarre investimenti stranieri (Riyadh ha creato un’autorità ad hoc) e da un pacchetto di riforme per la riqualificazione dell’apparato economico nazionale, denominato “Vision 2030”. Dal punto di vista delle risorse la principale è ovviamente il Petrolio. Il grosso delle riserve sono situate nelle provincie orientali (Al- Sharqiyya) dell’Arabia Saudita, queste rappresentano il 21% delle riserve globali (267 miliardi di barili) con una produzione giornaliera che supera i 10 milioni di barili, una delle quote più elevate tra i membri OPEC . La principale società del paese è la Saudi Aramco, una delle più importanti compagnie petrolifere a partecipazione statale. L’Arabia Saudita sta attuando una politica economica che dovrebbe integrare, in futuro, l’aumento della raffinazione petrolifera con lo sviluppo del settore del gas naturale. Il Regno Saudita ha in suo possesso circa il 4,2% delle riserve mondiali di gas e recentemente le autorità saudite hanno scoperto importanti riserve di idrocarburi non convenzionali (shale gas/oil). Questo ha spinto Riyadh a promuovere una joint venture tra la Saudi Aramco e le imprese private che sono coinvolte nell’esplorazione dei nuovi giacimenti di gas. La compagnia ha pianificato investimenti annuali nell’upstream per quasi 40 miliardi di dollari. La crisi del 2009 ha rallentato il processo e la produzione di gas rimane orientata, per ora, solamente per l’autoconsumo interno. Infine anche i consumi interni sauditi sono composti principalmente da petrolio (66,9% del totale) e gas (33,1 %).
Una nuova prospettiva dell’economia Saudita
Con la modernizzazione dell’apparato economico, parallelamente è cresciuta la popolazione dell’Arabia Saudita e, di conseguenza, anche i consumi. Il Paese infatti utilizza circa un quarto del petrolio prodotto e, come affermato in precedenza, praticamente la sua intera produzione di gas. Riyad sta attuando una diversificazione del proprio sistema economico per ridurre la dipendenza del paese dalla produzione petrolifera. A tal proposito, l’Arabia Saudita ha iniziato a sviluppare progetti legati all’energia nucleare civile, ratificando accordi con società statunitensi e nipponiche per la costruzione di impianti. Inoltre sono stati lanciati piani per investire nelle energie alternative come quella solare. Il regno saudita sta cercando di eliminare il consumo petrolifero interno, in forte crescita, e di destinare la produzione all’export.
Il piano “VISION 2030”
Nell’Aprile del 2016 il principe Mohammed bin Salman, secondo in linea di successione al trono saudita, capo del Consiglio per lo sviluppo economico nazionale, ha annunciato un nuovo piano per la trasformazione radicale dell’apparato economico saudita, che dovrebbe staccarlo dalla totale dipendenza del petrolio. Il Vision 2030 è un ambizioso piano che dovrebbe toccare anche questioni sociali, la religione, la difesa e la sicurezza del regno saudita. Esso è impostato nella riorganizzazione del Fondo Pubblico per gli investimenti. Il piano dovrebbe far evolvere il Fondo Sovrano in una piattaforma per la gestione dei principali asset dell’economia saudita come la cassaforte di stato, la Saudi Aramco, con il suo 5-10 % quotato in borsa. In linea alla riqualificazione finanziaria, il progetto dovrebbe portare all’espansione di altri settori dell’industria nazionale saudita, in particolare l’industria dei minerali. Il fondo dovrebbe offrire una garanzia finanziaria pari a 2.000 miliardi di dollari, trasformandolo in uno dei più grandi “portafogli” nazionali al mondo, superando quello Norvegese (1.700 miliardi di dollari di budget). Per sostenere Vision 2030, il governo di Riyad ha rianalizzato alcune voci del bilancio pubblico. Tra queste ci sono il taglio dei sussidi sociali, l’aumento delle tasse sui beni di lusso, l’incremento delle tariffe sui pedaggi stradali e sulla benzina. Queste misure hanno ridotto il deficit del bilancio pari a 87 miliardi di dollari nel 2016. Se il Vision 2030 si dimostrasse un successo, si tratterebbe di una rivoluzione per un paese che ha le seconde riserve petrolifere globali e che dipendente quasi totalmente dal greggio.