Con una popolazione di 44 milioni, l’Argentina è il terzo paese dell’America Latina dopo Brasile (200m) e Colombia (48m). Con un PIL di 630 miliardi di $, è stabilmente tra le prime 20-25 economie al mondo. E’ un membro fondatore delle Nazioni Unite e fa parte del G-20, all’interno del quale Mauricio Macri, l’attuale presidente, è una delle figure più stimate dai colleghi. Tra il 2008 e il 2018, il PIL è passato da 360 a 630 miliardi di $, mentre il PIL pro-capite è passato da 8,900 a 14,000$. Tutto oro? Non proprio. Di recente l’Argentina è dovuta ricorrere ad un criticatissimo finanziamento di 50 miliardi dal Fondo Monetario Internazionale, e il deficit di bilancio, che è sempre positivo dal 2002 al 2008 grazie al boom delle materie prime, è stato di oltre il 5% negli ultimi 2 anni.
Il tango argentino
L’Argentina è da sempre riconosciuta come la grande incompiuta tra le grandi economie mondiale. La crisi finanziaria a cavallo tra anni ’20 e anni ’30 l’ha messa in ginocchio. Il periodo di Peron, politico populista che portò avanti un programma di riforme sociali che nazionalizzarono i principali settori, vide l’Argentina crescere ad una media annua del 3.8% tra 1932 e 1974. Tutto ciò fu poi reso vano dal regime militare di Martinez de Hoz, che nel solo 1982 portò al fallimento oltre 400,000 imprese. A questo succedette un periodo di politiche liberiste, le quali culminarono col default dei famosi tango bond nel 2001. Il prezzo da pagare per l’Argentina fu immenso, non solo a causa dell’esclusione dal mercato dei capitali, ma anche dei rimborsi, basti pensare che il noto gestore dell’hedge fund NML Paul Singer, a capo di una cordata rappresentante il 7% del totale dei bond scoperti, ebbe un ritorno di quali il 400% sul valore reale. Nel periodo 2002-2011, l’Argentina ha conosciuto una crescita media annua del 7.1%, grazie al boom delle commodities. Nello stesso periodo, il politico peronista Kirchner rinazionalizzò tutti i principali settori: poste, ferrovie, la compagnie energetica YPF, fondi pensione e compagnia aerea di bandiera. Dal 2011, l’economia argentina è stagnante, alternando anni di crescita ad anni di contrazione. Ma nel 2017 l’economia è cresciuta del 2.9%, e quest’anno si prevede possa crescere a meno dell’1.8%.
L’economia dell’Argentina
Ha fondato e fa parte del Mercosur, il blocco economico nato a metà anni ‘90 composto dai paesi dell’America Latina all’interno del quale non vi sono dazi. I suoi principali partner commerciali sono Brasile, Cina e Stati Uniti. Essendo dotata del terzo bacino al mondo di shale gas e petrolio, il famoso Vaca Muerta, l’Argentina è autosufficiente dal punto di vista energetico, cosa che la rende un esportatore netto di queste risorse. Il sottosuolo argentino è ricco anche di risorse minerarie, in particolar modo oro, argento, rame, carbone, zinco e uranio. Il settore alimentare, che rappresenta oltre il 10% dei 60 miliardi di $ di export, vede questo paese tra i primi produttori mondiali di manzo, vino, grano, mais, semi di soia. Per completare la filiera, l’Argentina è anche provvista di un diversificato settore industriale che vale il 15% del GDP, facendo di questo paese un leader nella produzione di macchinari per il processing di food & beverage, industria chimica, elettronica di consumo (l’80% del totale dei telefoni argentini è prodotto localmente), prodotti per l’automotive e settore tessile. Il turismo rappresenta circa il 4% del PIL. Si consiglia di visitare Buenos Aires, le cascate di Iguazù, il ghiacciaio Perito Moreno, la Penisola Valdes, la città di Mendoza e la Terra del Fuoco.
Finanza e investimenti
L’Argentina ha attirato oltre 140 miliardi di $ in FDIs, principalmente in progetti legati a grandi infrastrutture, telecomunicazioni, trasporti, settore energetico, agricoltura e industria mineraria. Il trend è in crescita grazie alla presenza del liberale Mauricio Macri, presidente insediatosi nel 2015, che cerca un secondo mandato nel 2019. La sua conferma, che sembrava certa fino a pochi mesi fa con anche l’upgrade da parte di S&P nel giro di 6 mesi nel 2017 da rating B a B+, è stata messa in discussione dal ricorso al FMI, letteralmente odiato dal popolo argentino e indicato come colpevole del default di inizio anni 2000. Il ricorso al finanziamento è stato obbligato dal panico scatenato dal rialzo dei tassi da parte degli Stati Uniti e quindi il rinforzamento del dollaro, cosa che ha mandato in angosciai mercati in tutti i paesi emergenti portando a massicci sell-off. Nel 2010 con 1$ si potevano acquistare 4 pesos argentini, a giugno 2017 16, e oggi quasi 29. L’inflazione è a oltre il 28%. Per mitigare la crisi, la Banca Centrale argentina ha alzato i tassi di interesse al 40% mentre l’obiettivo per l’anno era portarli sotto il 25%, di conseguenza ad oggi per un prestito si corrispondono interessi tra il 60-70%. Con un debito pubblico di 257 miliardi di $, pari a poco più del 40% del PIL, l’Argentina viene considerata dal punto di vista del credito un paese speculativo, con rating B+ per S&P e B2 per Moody’s. Come si è dimostrato, la vulnerabilità di questo paese alle politiche monetarie internazionali è altissima, soprattutto per il fatto che il 70% del suo debito pubblico è in valuta estera. Nonostante ciò, secondo PwC, l’Argentina crescerà ad una media annua del 2.9% fino al 2050, rimanendo stabilmente tra le prime 20 economie. Gode di una popolazione istruita, con oltre il 98% di individui alfabetizzati e un sistema scolastico pubblico. Con un basso tasso di disoccupazione, pari a circa il 7%, e politiche liberali che spingono le privatizzazioni e l’ammodernamento del paese, nel prossimo futuro forse potremmo vedere un’Argentina matura e autonoma.
Tu investiresti adesso in Argentina? Oppure credi che il momentaneo fallimento delle politiche liberali di Macri la farà tornare ad un modello peronista già dal 2019?