Con una popolazione di 80 milioni, un’età media di 31 anni e una crescita media annua attesa del 3.5% fino al 2050, la Turchia, nonostante le critiche delle democrazie occidentali, è una delle realtà più interessanti nel Medio Oriente dal punto di vista economico. Il suo PIL è infatti cresciuto nel solo ultimo anno di oltre il 7.4 %, e per il 2018 si stima una crescita di almeno il 5.5%. Ad oggi il GDP turco ammonta a 910 miliardi di $, in netta crescita rispetto ai 676 miliardi di $ del 2007, cosa che lo rende oggi una delle prime 20 economie al mondo, con l’obiettivo di entrare nelle prime 10 entro 30 anni.
Il perchè della crescita
La crescita della Turchia inizia esattamente nel 1980, quando la Giunta Militare depositò il governo, autarchico e chiuso agli scambi, a favore di un governo liberale che poi aprì le porte del paese al resto del mondo. Il modello di crescita turco si basa su una serie di strategici accordi di libero scambio, i principali sono quelli con l’UE, con la quale condivide l’unione delle dogane (quindi nessun dazio) ma non è parte del mercato unico (che significherebbe allineamento totale alle politiche di produzione e lavoro europee), con Israele (ma anche con la Palestina), Egitto e Libano in Medioriente, Malesia, Sud Corea, Singapore in Asia, ma anche quelli con altri paesi come Cile, Kosovo, Serbia, Marocco e Tunisia. Gode dal 1996 di accordi privilegiati in campo fiscale e scambio di informazioni con gli Stati Uniti. La Turchia ha inoltre avviato dagli anni ’90 un massiccio programma di privatizzazioni che, nonostante le proteste popolari come nel caso della raffineria di zucchero Apullu, ha portato alla privatizzazione di: 10 porti, 81 siti di produzione energetica, oltre 400 infrastrutture, oltre 3,000 proprietà statali, 36 miniere, e 94 compagnie statali. Tra le privatizzazioni più note vi sono i passaggi della raffineria Tupras a Shell, la vendita della compagnia di tlc Turk Telekom, e la cessione a BAT di Tekel, azienda specializzata nella produzione di tabacco e alcolici. Il turismo rappresenta circa il 10% del GDP. Si consiglia di visitare Istanbul, ovviamente, Efeso, Smirne, la Cappadocia, Marmaris e Bodrum.
L’economia della Turchia
Essendo uno dei primi 5 produttori mondiali di verdura, e tra i primi 10 di frutta, oltre ad avere un’importante industria ittica, la Turchia è autosufficiente dal punto di vista alimentare. E’ infatti tra i primi 5 produttori di nocciole, ciliegie, albicocche, melograni, cocomeri, cetrioli, pomodori, melanzane, peperoni, lenticchie, pistacchi, olive e cipolle. E’ anche uno dei primi 10 nella produzione di thè, tabacco e mele. Dal punto di vista industriale, la Turchia è un vero e proprio leader europeo nell’elettronica di consumo grazie a Vestel, il più grande produttore europeo di televisori, e Beko, uno dei maggiori produttori di elettrodomestici. E’ uno dei maggiori produttori di automobili, con oltre 1.5 milioni di unità prodotte all’anno, di cui l’80% è destinato all’export. Si piazza anche come uno dei primi 10 produttori mondiali di acciaio e nell’industria mineraria, le sue riserve di boro sono le più grandi in assoluto. La Turchia è anche un importante player nella costruzione di navi e treni, e nell’industria bellica, la quale frutta 2 miliardi di $ di export ogni anno. La Turchia si piazza seconda a livello globale, dietro alla Cina, per quanto riguarda gli appalti di grandi infrastrutture. Dal punto di vista energetico invece, nonostante sia provvista di riserve di gas e petrolio, la Turchia è un importatore netto, e le operazioni di raffinazione e commercializzazione sono affidate alla compagnia statale TPAO. Importantissimo il settore tessile, in cui questo paese è uno dei maggiori produttori mondiali di cotone, che rappresenta circa il 25% dei 160 miliardi di $ di export.
Finanza e investimenti
Con l’arrivo nel 2002 di Erdogan e l’AKP, che hanno portato a una rapida apertura commerciale a fronte di una forte chiusura culturale, dal 2004 al 2017 la Turchia ha ricevuto oltre 190 miliardi di $ in FDIs. Questo trend è in calando a causa delle tensioni politiche che riguardano la Siria e l’Iran. La Turchia ha ottimi rapporti con Russia, Iran (che sono i suoi maggiori fornitori di gas e petrolio) e Palestina, ma anche con Stati Uniti e Israele, oltre che con i partner dell’UE. Il fatto che 10 anni fa la Turchia fosse a un passo da entrare nell’UE, e che adesso sia riemersa la proposta di creare uno stato islamico fa riflettere sulla volubilità dei rapporti. 17 banche e istituzioni finanziare turche sono state recentemente downgraded da Moody’s, che considera la Turchia un paese speculativo con rating di Ba1, mentre per S&P è appena sopra il livello minimo di investment grade con BBB. Nel 2008 con 1$ si potevano acquistare solamente 1.2 lire turche, oggi se ne acquistano circa 4.7. Lo spread dei bond a 10 anni turchi rispetto a quelli USA è di 450 punti. Erdogan, neovincitore delle elezioni indette in giugno con 18 mesi di anticipo grazie al supporto del partito ultranazionalista MHP, preoccupa i mercati finanziari per la sua gestione della politica monetaria che, anche se è stato semplificato il sistema di calcolo degli interessi e portato al 16.5%, ha fatto aumentare l’inflazione ad oltre il 12% e svalutato la lira, cosa che ha portato oltre il 40% dei turchi ad avere conti corrente in valuta estera (erano il 28% nel 2011). Inoltre, la crescita del GDP turco viene accusata dagli investitori internazionali di essere stata “falsata” dagli investimenti in infrastrutture, il cui contributo al PIL è cresciuto di oltre il 9%. Ciò sarebbe anche confermato da una crescita stagnante del PIL pro-capite, passato dai 10,800$ del 2008 agli 11,000 di oggi. Nonostante ciò, la Turchia ha un basso debito pubblico, pari al 28% del suo GDP e rappresenta, per quanto riguarda i consumi, uno dei primi 5 mercati europei e uno dei primi 10 mondiali. Il retail cresce ad una media annua del 9%, che si prolungherà nel medio termine. Per quanto riguarda l’entertainment, la Turchia è per grandezza il secondo mercato europeo dopo la Russia, con una crescita annua del 7%. La posizione geografica e gli accordi di scambio la favoriscono dal punto di vista della strategia commerciale e della logistica. Il mercato del lavoro è fluido grazie alla riforma delle pensioni e al fondo sovrano turco.
Voi investireste adesso in Turchia? Oppure ritenete che l’instabilità politica pregiudichi la possibilità di fare business?