«Chi è solo timidamente europeista ha già perso». Così diceva l’attuale presidente della Repubblica francese Emmanuel Macron durante la campagna elettorale, nella quale si è presentato alla nazione e all’Europa come l’uomo nuovo, giovane, rinomato in ambienti internazionali, l’unico in grado di arginare l’ascesa del populismo e della xenofobia in Francia in quanto forte sostenitore dell’integrazione europea. I francesi hanno deciso di dargli fiducia ed ora Macron risiede all’Eliseo e il suo partito, En Marche!, vanta la maggioranza assoluta nell’Assemblea Nazionale.
A quasi due mesi dall’elezione però sembra che qualcosa sia cambiato. Finora la politica di Macron è stata spregiudicata, sempre in cerca dello scontro con i suoi vicini, a partire dalla chiusura delle frontiere ai migranti e l’isolazionismo nella gestione della crisi libica, fino ad arrivare a una serie di provvedimenti di stampo protezionistico. Fin dalla sua prima seduta al Consiglio europeo, Macron si è battuto per difendere i settori strategici del mercato dell’Eurozona dall’avanzata degli investitori provenienti da Paesi terzi, soprattutto dalla Cina, incontrando la resistenza di svariati paesi del Nord Europa contrari al protezionismo (come Svezia, Olanda, Danimarca e Finlandia).
Uno dei cavalli di battaglia del Presidente francese è il Buy European Act, durante le cui trattative del quale Macron propose di vietare l’accesso agli appalti pubblici a tutte quelle imprese che non realizzano almeno il 50% della produzione complessiva in Europa. Il progetto fu bocciato da diversi membri della Commissione che preferirono mantenere in vigore la regola attuale, per la quale gli appalti restano aperti alle imprese di quei Paesi terzi che a loro volta concedono l’accesso alle imprese europee. Nella bozza delle conclusioni si legge che l’Ue si impegna per garantire un mercato libero ma equo, pertanto combatte il protezionismo ed allo stesso tempo assicura strumenti di difesa commerciale contro le distorsioni.
Un altro recente episodio che ha fatto molto discutere è stata la decisione del governo francese di nazionalizzare i cantieri navali Stx, facendo saltare l’accordo raggiunto sotto la presidenza Hollande che ne avrebbe fatto passare il controllo alla Fincantieri, società a partecipazione statale italiana. I motivi addotti da Macron sono stati piuttosto vaghi: la difesa degli interessi nazionali della Francia, la salvaguardia dei posti di lavoro, la valenza strategica del sito e l’importanza del know-how. Quello che invece traspare nel Belpaese è ben riassunto dalle parole del ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan e del ministro allo Sviluppo economico Carlo Calenda che commentano il gesto come «grave e incomprensibile», in quanto l’accordo era stato pensato proprio per creare una governance equilibrata del sito e tutelare gli interessi francesi in merito all’occupazione e al patrimonio tecnologico. Ciò che più colpisce dell’intera vicenda è che lo smacco non è stato subito da un colosso mondiale estero la cui presenza rappresenta una minaccia per il mercato francese, bensì da un paese vicino della zona euro: Stx e Fincantieri condividono il passaporto europeo.
Anche Macron ha deciso di cavalcare l’onda del nazionalismo e dello statalismo? Sicuramente l’incontro con il presidente degli Stati Uniti d’America Donald Trump, avvenuto in occasione dei festeggiamenti del 14 luglio a Parigi, ha avuto un certo peso. I presidenti hanno ribadito l’importanza dello storico legame che unisce i due paesi e Trump ne è uscito entusiasta, ritendendo Macron un «grande presidente» che guiderà il paese nel «modo giusto».
Una cosa è certa: se Macron, che secondo Le Journal du Dimanche ha perso nell’ultimo mese dieci punti di consenso, vuole mantenere alta la sua reputazione nel Vecchio continente dovrà dimostrarsi più aperto e rispettoso dei valori europei di condivisione e integrazione.