I precedenti attentati ai pozzi sauditi hanno tolto al mercato internazionale il 5% del greggio, con conseguenze dirette sul Brent che il giorno dopo ha aperto in rialzo a 71 dollari. Alle tempestive rassicurazioni del Ministro dell’Energia saudita – Abdulaziz Bin Salman – circa una ripresa graduale delle produzioni per la fine di novembre, il mercato ha risposto positivamente riportando il prezzo del Brent a 64 dollari (- 6%). Infatti, data la ricchezza del Paese una strategia di riordino potrebbe essere quella di sfruttare la spare capacity – la capacità produttiva di riserva- così che gli impianti possano essere ripristinati in tempi più brevi. Tuttavia, per gli analisti il panorama non si prospetta altrettanto ottimista in quanto, a onor del vero, non si hanno ancora ben chiare le condizioni effettive degli impianti (si ricorda a proposito che l’attacco degli Houti ha causato il dimezzamento della produzione petrolifera nazionale).
Nonostante il prezzo del petrolio non sembri soggetto a subire scostamenti di prezzo importanti, a fare direttamente i conti con il nuovo panorama economico saranno i Paesi importatori e i consumatori. Infatti, ad un aumento del greggio corrisponde parallelamente un aumento dei costi di trasporto, il ché risulterebbe particolarmente scomodo per un Paese come l’Italia dove l’85% dei trasporti commerciali avviene per strada.
Se poi ci si concentra sulle commodities, nel particolare del comparto agricolo, il greggio rappresenta una voce di costo fondamentale per altri aspetti meno appariscenti quali il riscaldamento delle serre, i fertilizzanti, gli insetticidi e tanto altro ancora, generando una pericolosa reazione a valanga anche sui prodotti ortofrutticoli. Appare dunque chiaro come le parole rassicuranti provenienti da Riad trovino poca corrispondenza sull’effettiva stabilità degli umori internazionali e di mercato, il quale è deciso a rimanere volatile ancora per le prossime settimane.