In un recente articolo di Bloomberg si legge come i tassi d’interesse negativi stiano azzerando i ritorni attesi dagli investitori, generando quindi un risucchio di denaro dal mercato stesso. Secondo i dati di giugno scorso, si starebbe parlando di un buco nero di circa 13 trilioni di dollari, ossia il 25% del debito mondiale totale.
A trarre vantaggio da questa situazione sono sicuramente i governi e le aziende private, che possono accedere più facilmente ai finanziamenti, e i fondi private equity, in quanto agevolati nell’aumentare la leva finanziaria dei loro investimenti per ottenere potenzialmente maggiori ritorni. A subirne le conseguenze invece sono prima di tutto le banche, che ancora una volta vedono i loro margini di profitto diminuire, i fondi pensionistici e le grandi compagnie assicurative, che non potendo sbilanciare gli investimenti su asset con livelli di rischio particolarmente elevato faticano a trovare il giusto bilancio tra rischio e rendimento.
A giudicare dalla natura di tale fenomeno, si potrebbe dire che ancora una volta ci troviamo a pagare le conseguenze della crisi finanziaria del 2008/09, nonché delle reazioni sbagliate alla stessa: faticando a ritrovare la crescita tanto voluta, infatti, le banche centrali hanno più volte tagliato i tassi di interesse con l’obiettivo di aumentare la domanda di denaro, far ripartire i consumi e quindi toccare il livello di inflazione target (2%).
Nonostante gli interventi mirati, l’inflazione resta ancora scarsa, il tasso di disoccupazione non ha fatto grandi passi in avanti nella maggior parte dei paesi occidentali e poche banche centrali hanno azzardato ad alzare i tassi. Se la situazione dovesse protrarsi le banche d’affari potrebbero optare per una diminuzione dell’offerta dei finanziamenti onde alzare la leva prezzo, scoraggiando quindi le persone e le imprese ad indebitarsi e rallentando ulteriormente l’economia.