In linea con un mercato globale che naviga stabile nella sua incertezza -con la Germania sull’orlo di una crisi e le continue controversie commerciali tra USA-Cina, ad inasprire ulteriormente i toni è ancora una volta la delicata situazione politica apertasi con il dossier Brexit. Adesso però, la battaglia si sposta verso il mercato dei derivati e prende di mira proprio la quota detenuta dalla capitale UK.
Attualmente infatti, Londra vanta una posizione di leader nel mercato degli swaps a medio e lungo periodo sui tassi d’interesse UE. Ma con la Brexit alle porte, il nodo delle clearing house inglesi rischia di diventare un serio pericolo per le banche d’investimento europee. Secondo le stime di Bloomberg, le transazioni di derivati in euro verso la capitale londinese ammonterebbero a oltre 500 miliardi, con una copertura del 70% del mercato totale: con il pericolo Brexit invece, gli organi di vigilanza premono per riportare queste attività verso altre piazze finanziarie europee.
Anche in caso di una “hard Brexit”, le transazioni rimarranno comunque invariate fino al marzo 2020, data oltre la quale è previsto un aumento dei requisiti di capitale delle banche europee nei confronti del Regno Unito. Stando alle fonti, nel mirino ci sono la LCH – l’ente che gestisce gli scambi dei derivati in euro- e altre big londinesi, poste di fronte all’obbligo di perdere il proprio diritto di “passaporto” nell’offrire servizi finanziari verso la controparte EU. Ciò significa che per le investment bank più attive nel mercato degli swaps il rischio di un aumento dei costi di transazione si fa sempre più vicino, motivo per cui alcuni hanno deciso di giocare d’anticipo e hanno reso nota l’intenzione di spostare le proprie transazioni verso Francoforte – Deutsche Bank ne è l’esempio.
Inoltre, con l’addio di Londra alla UE, l’onere di sorveglianza dovrebbe passare all’Esma insieme a tutti i poteri ivi connessi, compreso quello di riportare le transazioni entro i confini europei. Si apre così un lungo e complesso tentativo di trattazioni, sulle quali pesano le pressioni del sistema bancario UE preoccupato per la sua condizione di svantaggio rispetto alle banche americane.