Nel 2020 lo stipendio medio italiano è sceso sotto i livelli di trent’anni prima, con un calo del -2,9% a €32.740 lordi annui. Nello stesso periodo, 1990-2020, i salari nell’Area OCSE sono aumentati del +33,1%.ù
Il confronto europeo
La sconfitta del Belpaese appare ancora più evidente se si paragona l’andamento salariale dell’Italia con quello di tutti gli altri Stati europei. In Lituania, ad esempio, dove i salari sono aumentati di più (+276,3%), la retribuzione è passata dai circa $8.400 del 1995 ai $31.811 del 2020.
Anche comparando la variazione degli stipendi italiani con Paesi europei aventi economie simili, la situazione non cambia. In Germania e in Francia, per esempio, i salari medi sono cresciuti rispettivamente del +33,7% e del +31,1%, nonostante partissero da livelli già elevati.
Sul livello salariale dei Paesi Ue, come in altre parti del mondo, la crisi da Covid-19 ha avuto senza dubbio un forte impatto. Anche in questo caso, però, in base a quanto emerge dai dati OCSE, la dinamica italiana ha registrato un record negativo.
Mentre in Francia tale contrazione è stata del -3,2%, in Spagna del -2,9% e in Germania appena del -0,55%, in Italia il calo ha sfiorato il -6%. Come sottolineato da un’analisi dell’Organizzazione internazionale del lavoro (Oil) a causare questo fenomeno è stato soprattutto il taglio delle ore lavorative.
Le origini del fenomeno
Ma le radici della stagnazione dei salari sono più profonde. Le criticità sarebbero dovute ad una bassa produttività del sistema economico italiano rispetto ai Paesi dell’Europa settentrionale e occidentale.
Il problema della produttività è determinato dallo scarso sviluppo di tutti quei fattori che possono contribuire alla crescita: investimenti in capitale umano, tecnologia, apertura dei mercati e efficienza della burocrazia che ha caratterizzato l’Italia negli ultimi trent’anni.