Il recente report pubblicato da Bain, partendo da un’analisi del settore bancario a livello globale, mostra come in Italia e, più in generale in Europa, sia necessario un consolidamento dei player del settore onde colmare il gap di performance che separa gli operatori europei da quelli americani.
Il differenziale di rendimento tra i player dei due continenti infatti è andato ampliandosi nel corso degli ultimi anni, principalmente a causa di un’economia ancora debole, tassi d’interesse bassi che erodono la redditività e la mancanza di sinergie necessarie ad alleviare i costi di trasformazione sia strategica, quale il passaggio al digitale, che legale, quali i vincoli in materia di Calendar Provisioning e revisione dei modelli interni.
La situazione bancaria europea inoltre è tale che, ad eccezione di UBS, la totalità delle banche hanno un costo del capitale maggiore del rendimento dello stesso. Quest’ultimo a livello europeo infatti ha un valore medio del 7,7%, contro l’11% delle banche statunitensi. Contestualmente la quotazione di mercato, se confrontata al tangible book value (Tbv), nel caso europeo mostra valori compresi tra 0,3 e 1 mentre in quello statunitense tra 1 e 2,6, indice dei maggiori rendimenti attesi degli investitori d’oltreoceano.
Di conseguenza, sebbene in America si sta procedendo ad un allentamento regolamentare, l’Europa sta andando dalla parte opposta, il che implica la necessità di adottare nuovi modelli di business e strutture patrimoniali più leggere, possibili attraverso lo sviluppo di modelli di credito alternativi nonché di prodotti fee-based a scapito di quelli commission-based ad ora dominanti.
La trasformazione del settore quindi verrebbe agevolata qualora ci fossero delle fondamenta solide a reggerla. A questo proposito il report non cita gli operatori che potrebbe coinvolgere una potenziale fusione ma che, secondo l’opinione de Il Sole 24 Ore, potrebbero essere Mps, Ubi, Bper e Banco Bpm.