L’Italia è un Paese tipicamente di risparmiatori e non di investitori, dove si preferisce parcheggiare il denaro “sotto il materasso” piuttosto che optare per un colpo di scena e investire in una prospettiva di lungo periodo. Il motivo di questo fenomeno? Il Paese, se messo a confronto con i paesi anglosassoni, vanta ancora una scarsa alfabetizzazione finanziaria oltre che una considerevole avversione al rischio. La fiducia degli italiani, inoltre, è indebolita anche dalle difficoltà dell’attuale situazione macroeconomica.
Conviene davvero rimanere ancorati alla liquidità?
I numeri dimostrano come i mercati finanziari non sono un male da evitare a priori ma che, al contrario, possono essere un aiuto per incrementare i propri risparmi ed evitare che questi rimangano infruttuosi. Ad esempio, con 1.000€ in tasca o sul conto corrente, dopo 10 anni (2009-2019) il loro valore si sarà ridotto di circa 125€. La questione dei rendimenti mancati, in media, porta alla perdita di un rendimento annuo compreso tra l’1.1% ed il 4,2%. Considerando l’attuale tasso d’inflazione dello 0,7% vigente in Italia, si può dunque stimare che ogni anno si verificherà una diminuzione del potere d’acquisto di prodotti e servizi pari allo 0,7%.
Le false credenze degli italiani
Eppure, nonostante la consapevolezza e l’insoddisfazione per la performance dei propri risparmi, gli italiani si mostrano sempre più spaventati dalla volatilità del contesto economico e dalla possibilità di perdere il proprio denaro. In particolare, c’è la falsa credenza che giocare in Borsa rappresenti un tutto o niente, con guadagni astronomici o perdita dell’intero capitale investito. Molti italiani vedono le attività di Borsa alla stregua del gioco d’azzardo.
In un ottica di investimento prospettico, ragionare in termini di costo-opportunità è fondamentale per fare chiarezza circa i vantaggi ottenibili da diverse scelte di investimento in proporzione ai rischi (reali). In verità perdere l’intero capitale investito in Borsa è quasi impossibile, a meno che non si verifichino catastrofi finanziarie come la crisi del ’29 o del 2008. Con ciò non si vuole dire che la performance positiva sia assicurata ma che, tuttavia, i numeri del mercato indicano che la percezione che gli italiani hanno del rischio sia molto esagerata.