La pandemia di COVID-19 ha provocato restrizioni senza precedenti delle libertà personali e delle attività economiche, portando la maggior parte dei paesi in Europa e Nord America a dichiarare lo stato di emergenza nazionale. Il Lock-down d’intere economie ha causato un crollo più o meno esteso della produzione industriale ed una forte riduzione della domanda e degli scambi internazionali.
La paura della diffusione esponenziale del virus e le crescenti incertezze sull’efficacia delle varie misure di contenimento hanno scosso i mercati finanziari di tutto il mondo. La volatilità del mercato ha superato il picco raggiunto durante la crisi del 2008 e le Borse hanno registrato il peggior calo della Storia. Il crollo del valore azionario ha aumentato i rapporti debito/capitale delle imprese, limitando il loro accesso al credito ed aumentando la probabilità d’insolvenza e fallimenti. Un aumento generale delle insolvenze comporterebbe un deterioramento dei bilanci bancari, limitando la capacità delle banche di estendere il credito e intaccando la solidità dei sistemi bancari nazionali.
Le crescenti restrizioni al movimento delle persone stanno colpendo il settore dei servizi, in particolare le industrie che si basano su interazioni fisiche. Commercio al dettaglio, turismo, tempo libero, servizi ricreativi, trasporto, sono tra i settori più colpiti. Questi ultimi, nel complesso, rappresentano oltre un quarto di tutti i posti di lavoro nelle economie europee e nordamericane.
Effetti diversi in paesi diversi
Benché gli effetti della crisi dovuta al coronavirus si possano considerare simmetrici, quest’ultima non colpirà tutti i paesi in maniera omogenea. Le diverse economie possiedono infatti fondamentali e situazioni macroeconomiche differenti che permettono di affrontare l’emergenza con strategie ed urgenze diverse.
l’Ocse ha elaborato uno scenario base che, senza considerare le misure fiscali nazionali e le iniziative europee, stima che lo shutdown si tradurrà in una contrazione mediamente tra il 20 ed il 25% del PIL, con differenze significative da un paese all’altro: si va dal -15% per l’Irlanda, al -25% per gli Usa, al -25-30% per Italia, Germania e Gran Bretagna, fino a circa il -34% per la Grecia.
La situazione nei paesi in via di sviluppo
La pandemia globale di Covid-19 sembra concentrarsi soprattutto nelle economie sviluppate. I primi dieci paesi per numero di casi registrati ad aprile 2020 sono infatti Usa, Spagna, Italia, Francia, Germania, Regno Unito, Cina, Iran, Turchia e Belgio. L’Europa presenta un totale di circa 970.000 casi, contro i 17.500 dell’Africa ed i 330.500 dell’Asia.
Il Covid 19 presenta un tasso di mortalità stimato del 6,4% nelle persone di età superiore ai 60 anni, e del 13,4 % sopra gli 80 anni. Secondo la Banca Mondiale nei paesi a basso reddito (pro capite inferiore a mille dolalri l’anno) la percentuale di popolazione con età superiore ai 65 anni è del 3% contro il 17,4% delle economie ad alto reddito. L’età mediana in Africa è vent’anni.
I paesi in via di sviluppo, in gran parte localizzati in Africa, Sud America e sud est asiatico, godono di un clima mediamente caldo e di una contenuta densità abitativa. Questi fattori potrebbero aver ostacolato la diffusione del virus ma non ci sono certezze scientifiche che la pandemia non arrivi con forza in futuro. Se ciò avvenisse, questi Stati non hanno né un sistema sanitario adeguato né le risorse fiscali e monetarie necessarie per affrontare l’emergenza.
Le quattro principali minacce
Le principali minacce che le economie a basso e medio reddito devono affrontare sono i costi sociali ed economici di uno shutdown, il crollo della domanda internazionale di commodities, la brusca diminuzione del turismo e la fuga di capitali.
Quarantena o non quarantena
Secondo l’università di Oxford almeno 27 economie in via di sviluppo hanno adottato limitazioni più o meno severe per combattere la diffusione del virus, tra queste Filippine, Vietnam, Kenya, Ecuador e Indonesia. La maggior parte di questi Stati non possiede però le risorse fiscali per sostenere la propria popolazione. Imporre rigorosi shutdown in paesi nei quali i cittadini spesso dipendono dal proprio lavoro quotidiano per sfamare le loro famiglie potrebbe portare ad un numero di morti superiori a quelli provocati dalla pandemia.
Crollo della domanda di Commodities
Molti paesi in via di sviluppo basano gran parte della propria economia sull’export di materie prime verso UE, USA e Cina e sono particolarmente vulnerabili a riduzioni della domanda. Per questi paesi, inoltre, l’export rappresenta l’unica fonte di valuta estera. Quasi il 90% delle esportazioni di Capo Verde e São Tomé e Principe sono destinate all’Europa. Per il Marocco e la Tunisia oltre il 60%. Lo stesso vale per la Repubblica Dominicana, Haiti o Messico, con oltre la metà delle loro esportazioni destinate agli Stati Uniti. Il crollo della domanda internazionale danneggerà pesantemente la bilancia commerciale di questi paesi.
Turismo
La pandemia sta colpendo l’industria turistica globale. Un numero sempre maggiore di paesi chiude i propri confini ed i viaggi internazionali si sono quasi azzerati. A febbraio il traffico passeggeri cinese è diminuito dell’84,5% su base annua, mentre Sri Lanka e Vietnam hanno registrato una diminuzione di arrivi turistici a due cifre rispetto all’inizio del 2019.
Considerando la probabile lenta ripresa del turismo internazionale, le economie in via di sviluppo che più dipendono da esso saranno gravemente danneggiate. Per la Cambogia il settore turistico rappresenta il 30% del PIL e circa il 25% per Filippine e Thailandia. Per Bahamas, Capo Verde, Maldive e Vanuatu, il turismo rappresenta quasi il 20% del PIL ed il 60% delle entrate di valuta estera.
Inoltre, le piccole e medie imprese (PMI), le più colpite dalla crisi, costituiscono l’80% del settore turistico globale che impiega circa 123 milioni di persone in tutto il mondo.
Rischio Default
Il crollo dei mercati finanziari ed il clima di forte incertezza globale hanno portato gli investitori a spostare oltre 96 miliardi dai paesi in via di sviluppo alle economie più sviluppate. Attualmente la crisi finanziaria è più grave di quella sanitaria e impedisce ai paesi in via di sviluppo di pagare le importazioni abituali, aumentare la spesa pubblica sanitaria e, soprattutto, affrontare il proprio debito in valuta estera.
I mercati emergenti hanno circa 11 trilioni di dollari di debito estero e di questi circa 3,9 trilioni in scadenza nel 2020. In circostanze normali gran parte di questo sarebbe semplicemente stato rifinanziato nei mercati dei capitali globali ma questo non sarà semplice con la pandemia. Le attuali condizioni d’inasprimento del credito internazionale creano un serio rischio default.
Le Banche centrali dei paesi in via di sviluppo dispongono di meno strumenti delle loro controparti nelle economie sviluppate. Un taglio eccessivo dei tassi d’interesse ed un acquisto massiccio di titoli di Stato farebbero crollare ulteriormente il tasso di cambio tra le monete locali e le valute forti internazionali, rendendo ancora più difficile pagare il debito in valuta estera.
È difficile predire quali aree geografiche potrebbero essere più colpite. L’America Latina presenta il rapporto debito/esportazioni più elevato, l’Africa ha il mix di export meno diversificato, l’Asia il maggior valore assoluto di servizio del debito. Argentina, Libano e Venezuela si sono già avviati verso default selettivi. Più di 90 paesi al mondo hanno inoltre approcciato il Fondo Monetario Internazionale (FMI), il cosiddetto lender of last resort. Il Fondo per far fronte all’emergenza ha mobilitato oltre 1 trilione di dollari ma potrebbe non essere sufficiente in quanto l’FMI, a differenza di una Banca centrale, non può stampare moneta. Il G20 ha deciso a sua volta di sospendere 20 miliardi di debito in scadenza per un anno.
Morgan Stanley
Ipotizzando uno scenario negativo, gli analisti di Morgan Stanley hanno calcolato le quantità di valuta forte necessaria alle economie emergenti per pagare il proprio debito estero in scadenza e coprire il loro saldo commerciale, confrontando questo importo con le riserve valutarie. Secondo i risultati ottenuti Argentina, Pakistan, Turchia e Sud Africa potrebbero avviarsi ad una crisi del debito nel corso del 2020.
L’unica soluzione definitiva per i paesi in via di sviluppo è sperare che la crisi economica e finanziaria nelle economie sviluppate termini il prima possibile.