La situazione delle pensioni in Italia, già prima non florida, si è aggravata a causa degli effetti economici della pandemia. L’INPS, nel bilancio preventivo per il 2021, pubblicato il 29 dicembre 2020, ha rivelato di essere arrivata alla fine dell’anno con un disavanzo da 20,3 miliardi di euro. Di questi, ha reso noto il presidente del Consiglio di Vigilanza INPS Guglielmo Loy, 15,7 miliardi dipendono dalla cassa integrazione speciale creata per l’emergenza Covid. L’INPS ha precisato che i soldi destinati ai lavoratori colpiti dalla pandemia saranno garantiti dallo Stato. Tuttavia, se non si riuscirà a trovare una soluzione efficace il disavanzo da 20 miliardi di euro, sommato allo squilibrio generazionale, avrà grosse ripercussioni a lungo termine.
Il prossimo scenario
Il 30 luglio 2021 è prevista la fine del blocco dei licenziamenti imposto dal governo in occasione della pandemia. Molte persone perderanno il lavoro e, con il periodo di disoccupazione, anni di contributi. Nonostante i fondi che dovrebbero arrivare dal progetto Next Generation Eu, infatti, le aziende in difficoltà avranno bisogno di tempo per riprendersi e tornare ad assumere a pieno ritmo.
Lo squilibrio generazionale
Il problema delle pensioni in Italia era già presente, in particolare a causa del forte squilibrio generazionale presente nel Paese. Nel 2021 per ogni 1.000 lavoratori si contano 602 pensionati, secondo i calcoli dell’ISTAT, ma è probabile che tale rapporto peggiorerà negli anni a seguire. Infatti, sebbene ci sia stato un miglioramento rispetto al 2011, quando si contavano 757 pensionati ogni 1.000 lavoratori, questo è stato solo grazie a ad azioni legislative dure e mirate, in particolare la riforma Fornero.
In questo modo si è posto un freno allo squilibrio economico, sostituendo il precedente sistema, introdotto con la riforma Dini nel 1995, che consentiva ad alcuni di avere la piena pensione di anzianità anche prima dei 60 anni. Tuttavia, i giovani restano troppo pochi rispetto ai lavoratori più maturi. Quindi, nonostante le riforme, sarà molto difficile evitare un progressivo peggioramento della situazione nel lungo periodo.
I sistemi pensionistici italiani dal 1995 al 2021
La riforma Dini
Un sistema pensionistico può essere di due tipi, retributivo o contributivo. Nel primo l’importo mensile per persona dipende dal suo ultimo periodo di reddito da lavoratore. Nel secondo, invece, la pensione è calcolata in base ai contributi versati. Con la riforma Dini, del 1995, si diede al sistema italiano, prima di natura retributiva, una struttura più contributiva. Il cambiamento già appariva necessario per far fronte allo squilibrio generazionale. Chi ha ottenuto la pensione dal 1995 in poi, quindi, viene pagato in base ai contributi versati e non all’ultimo stipendio. Tuttavia, in questo sistema l’età minima per la pensione era calcolata in base al rapporto fra anzianità ed anni di lavoro regolare ed alcuni la ottenevano anche diverso tempo prima dei 60 anni.
La riforma Fornero
Il numero di pensioni vigenti in Italia aumentò del 20,8% dal 2001 al 2012, quando fu raggiunto il picco massimo di 18.363.760 unità. Il 22 dicembre 2011 fu approvata la riforma Fornero, che interveniva per alzare l’età minima per la pensione di vecchiaia. Questa si è dimostrata abbastanza efficace, portando il numero di pensioni a calare del 2,9% dal 2012 al 2019. L’età minima è di 66 anni, per le donne 62 anni fino al 2018, con almeno 20 anni di contributi. Tuttavia, con minimo 41 anni e un mese di versamenti per le donne e 42 anni e un mese per gli uomini, è possibile ottenere la pensione anticipata, accettando però una penalità nel calcolo dell’importo mensile. A questo si aggiungono, però, una serie di agevolazioni speciali per casi e professioni particolari.
Quota 100
Nel 2019 fu introdotto in via sperimentale il sistema Quota 100, senza eliminare le norme introdotte dalla precedente riforma. Esso è stato approvato il 28 gennaio 2019 ed è in vigore dal 29 gennaio 2019. Con Quota 100, chi matura i requisiti dal 29 gennaio 2019 al 31 dicembre 2021 può andare in pensione a pieno titolo con 62 anni di età e 38 di contributi. Il nuovo sistema non ha portato ad un aumento del numero di pensioni, con un calo dello 0,2% dal 2019 al 2021.
Verso il 2022
A fine 2021 il sistema Quota 100 sarà superato, come previsto in quanto era stato pensato come sperimentale. I maggiori sindacati italiani chiedono di mantenere la possibilità di andare in pensione dai 62 ai 66 anni se si hanno almeno 41 anni di contributi. Non è ancora possibile prevedere quale sarà la decisione del governo. Tuttavia, è improbabile che il precedente sistema venga lasciato invariato.