Nel 2021, il 4 ottobre per il Brent e l’11 ottobre per il West Texas Intermediate (WTI), il prezzo del petrolio ha superato gli 80 dollari al barile, il valore più alto mai registrato da novembre 2014. La domanda, infatti, con la fine delle principali limitazioni dovute alla pandemia è aumentata in modo troppo rapido rispetto alla ripresa della produzione. Secondo Damien Courvalin, capo della sezione che si occupa di analisi del settore energetico per Goldman Sachs, il prezzo al barile raggiungerà i 90 dollari entro fine 2021 e continuerà a crescere fino al 2023.
L’aumento del prezzo
Considerando la variazione da inizio gennaio 2021 al 14 ottobre, il prezzo del Brent è aumentato del 64,4% e quello del WTI del 70,1%. Il calo è maggiore per il WTI anche a causa dei problemi riscontrati nell’estrazione di petrolio negli Stati Uniti tramite la tecnica della fratturazione idraulica, o fracking. Questa permette di attingere da giacimenti altrimenti irraggiungibili ma comporta grossi costi e molte delle aziende che se ne occupavano, con il crollo dei prezzi nel 2020, sono finite sull’orlo del fallimento e sono state costrette a ridurre in modo significativo le loro attività.
L’incremento del prezzo del petrolio a fine 2021 è netto anche rispetto al periodo precedente all’inizio della pandemia globale. Dalla prima apertura dei mercati a gennaio 2020 al 14 ottobre 2021, infatti, l’aumento è stato del 26,8% per il Brent e del 32,6% per il WTI.
Le cause
L’OPEC, organizzazione composta da 23 dei maggiori Paesi esportatori di petrolio e che da sola rappresenta il 40% della produzione mondiale, ha iniziato dal 18 luglio un incremento della produzione di 400.000 barili in più al giorno. A livello globale, contando anche gli Stati esterni all’OPEC, si tratta di circa 500.000 unità in più. Tali cifre, tuttavia, non stanno al passo con l’aumento della domanda, portando ad un rapido aumento dei prezzi. Sebbene il fenomeno sia dovuto in prima battuta alle riaperture, ed è in parte accentuato dall’inizio dell’inverno, una causa importante è stata anche la cautela di molti Stati produttori.
L’economia di diversi Paesi, infatti, è del tutto dipendente dal mercato del petrolio, che rappresenta spesso più del 20% del PIL e, in alcuni casi, come l’Iraq, raggiunge anche il 40%. Dopo le enormi perdite del 2020, quindi, un nuovo importante calo dei prezzi li porterebbe al collasso. Per questa ragione l’aumento della domanda, su cui basare quello della produzione, è stato stimato molto a ribasso.