È notizia di questi giorni la spirale di violenza che è andata degenerando dalle proteste, dapprima pacifiche, dei cittadini cileni nella capitale Santiago e che si è propagata in altre città, mettendo sotto scacco l’intero paese.
Le rivolte
La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata l’ultimo rincaro al prezzo della metropolitana, la Red Metropolitana de Movilidad che è usata da quasi 3 milioni di utenti. Il biglietto, in origine al prezzo di 420 pesos (circa $0,60), ha subito una ventina di aumenti fino a quasi raddoppiare il suo costo a 830 pesos ($1,17).
Decine di migliaia di persone sono scese in piazza per protestare contro le politiche liberiste del presidente Sebastián Piñera, ma quelle che dovevano essere proteste contro il caro vita si sono trasformate in atti vandalici e di violenza che hanno gettato il paese nel caos.
Diversi negozi sono stati saccheggiati, decine di auto date alle fiamme e numerosi roghi sono stati appiccati in varie zone della città. Si contano anche tre morti a causa di un incendio scoppiato in un supermercato.
Anche la centrale elettrica dell’Enel è stata presa di mira da alcuni esplosivi artigianali ed è bruciata del tutto, diventando così il simbolo del malcontento popolare.
Il governo ha decretato lo stato di emergenza e ha lasciato tutto nelle mani dell’esercito che ha dovuto reprimere le rivolte. Il presidente Piñera ha inoltre incaricato il generale Javier Iturriaga del Campo a controllo della sicurezza della capitale e quest’ultimo ha introdotto il coprifuoco dalle 22 alle 7 del mattino che durerà quindici giorni. Gli eventi di sport e cultura sono stati sospesi e i negozi sono rimasti chiusi. Una situazione del genere, con polizia ed esercito in strada, non si vedeva dai tempi della dittatura di Augusto Pinochet.
Un’analisi della crisi
Il Cile è il Paese più ricco del Sud America ma nonostante ciò imperversano le rivolte. Vediamo un’analisi più economica per poter dare una spiegazione a questo momento di crisi.
Prendendo come termine di paragone, ad esempio, l’Italia (quindi l’euro come moneta) si nota come il prezzo dei beni di prima necessità e dei beni secondari sia inferiore in Cile ma non di molto. La differenza per un litro di latte è di soli €0,50 o di soli €10 per un mese di asilo. Se però confrontiamo lo stipendio medio mensile dopo le tasse si passa dai €1400 italiani ai €668 cileni. Questa è probabilmente la maggior causa di malessere dei cittadini, che ad alcuni giornali locali hanno sottolineato la difficoltà di arrivare alla fine del mese.
Il Paese sta vivendo, inoltre, una bolla immobiliare soprattutto nella capitale poiché il Cile definito “un’oasi” attira molto turismo estero che spinge i prezzi delle case verso l’alto, creando una situazione di instabilità dato l’alto tasso di indebitamento dei ceti più bassi. Questo ha acuito il malcontento nella popolazione.
Se consideriamo come indicatore la distribuzione del reddito si evince un forte grado di ineguaglianza, infatti il Paese ha un Indice di Gini (misura della disuguaglianza) tra i più alti al mondo.
Il tasso di disoccupazione non è elevato (7% circa) ma è da considerare che la maggior parte della popolazione è impiegata nell’industria del rame, di cui il Cile è primo esportatore, e nell’agricoltura percependo uno stipendio minimo di circa 270.000 pesos (340 euro), ben al di sotto del costo della vita nel paese.