In questi giorni si sta assistendo a un duro botta e risposta tra USA e Iran a causa del raid ordinato da Trump in cui è stato ucciso il generale delle forze iraniane Qassem Soleimani, figura chiave a capo delle Quds forces nonché futuro potenziale leader del Paese. Soleimani non era solo uno stratega militare, molto vicino all’ayatollah Ali Khamenei e all’ala iraniana più conservatrice: egli rappresentava anche la figura cardine dell’attuale inimicizia con Washington, la stessa che ha spinto Trump a ritirarsi dall’accordo nucleare siglato con l’Iran nel 2015. Ma perché Trump ha deciso proprio ora di uccidere Soleimani?
Eliminare una presenza scomoda
Ad oggi le motivazioni che spinsero Trump ad uscire dall’accordo siglato con l’Iran non risultano del tutto chiare. Sullo sfondo rimane il tentativo di ottenere contrattazioni più convenienti con Teheran in modo da attenuare l’influenza estremista del regime iraniano e porre un freno alla sua politica estera aggressiva, anche grazie all’introduzione di sanzioni più pesanti. Un tentativo di dialogo che ha finito per fare un enorme buco nell’acqua, proprio a causa della politica intransigente del generale Soleimani. Sembrerebbe dunque una prefazione perfetta per convincere Trump ad aprire il capitolo di una nuova narrazione in cui il generale iraniano viene presentato come un pericolo imminente per la stabilità geopolitica internazionale. Eppure, per quanto sensata possa essere questa considerazione, la sua uccisione arriva proprio in un momento molto delicato per Washington, impegnato a risolvere questioni interne decisive per il futuro della Casa Bianca: questioni, come quella dell’impeachment, che potrebbero essere messe in secondo piano solo dal pericolo di una escalation di violenza.
La contro-narrazione di Trump
È ormai una pratica conosciuta, specialmente in ambito politico, quella di far leva su un sentimento di paura e tensione per distogliere l’attenzione da altre problematiche. I tweet di Trump hanno sollevato una densa polveriera sull’Iran grazie a una strategia comunicativa fondata sulla paura e sul classico patriottismo americano, offrendo una soluzione laddove ancora tardava a manifestarsi un problema. Per fare questo Trump ha scelto un obiettivo eccellente, un leader spietato accusato di essere l’artefice di un prossimo attacco a diplomatici e militari americani in Iraq. Non il solito cliché, in quanto a far sorgere i molti dubbi sono proprio quei benefici che questa situazione apporterebbe all’esito delle prossime elezioni. Infatti i timori annunciati da Trump – di cui egli appare come unico e solo risolutore- sono stati rigettati dai deputati statunitensi che al contrario hanno reputato infondata l’ipotesi di un’escalation da parte di Iran. Stando a quanto suddetto, Trump si sarebbe servito della paura per la sicurezza internazionale per distogliere l’attenzione da questioni più “scomode” che in questi ultimi tempi ne stanno mettendo a repentaglio non solo l’immagine, ma anche la leadership politica. Eppure, nonostante la storia stessa ci dimostri che non c’è stato nessun presidente americano ad aver vinto le elezioni mandando il Paese in guerra, la rilevanza mediatica – soprattutto social – conferita all’uccisione del generale Soleimani mette non poche ombre circa le convinzioni alla base di una simile manovra, definita da molti come un pò “azzardata”.