Che il CEO di SpaceX e Tesla fosse un visionario non è certo una novità. L’estate del 2019, durante una conferenza stampa a San Francisco, Elon Musk ha svelato i progressi effettuati da Neuralink, società che ha contribuito a fondare nel 2016 col fine di sviluppare interfacce neurali impiantabili, capaci di connettere uomini e computer. Finora i test sono stati eseguiti solo su cavie da laboratorio ma la società ha annunciato che la sperimentazione sugli esseri umani potrà cominciare già a partire dal 2020.
Il sensore N1
Il sistema nervoso centrale, di cui fan parte cervello e midollo spinale, funziona attraverso lo scambio di segnali chimici ed elettrici. Attraverso l’innesto di 96 minuscoli fili flessibili, della dimensione di 4-6 micron (millesimo di millimetro), ai quali vengono fissati degli elettrodi (per un totale di oltre 3.000), è possibile rilevare gli impulsi elettromagnetici prodotti da un neurone all’invio delle informazioni. Questi messaggi neuronali vengono poi inviati ad un dispositivo, chiamato N1, che li amplifica e li filtra, eliminando quelli superflui e tenendo solo i cosiddetti Spikes o azioni potenziali.
Nel prototipo iniziale, i sensori N1 impiantati saranno 4: tre nelle aree motorie del cervello ed uno in quella sensoriale, ognuno dei quali sarà capace di gestire contemporaneamente un massimo di 1.024 elettrodi. Le informazioni così filtrate verranno quindi inviate ad un secondo dispositivo, simile ad un apparecchio acustico, posizionato dietro l’orecchio, che le invierà ad un computer per l’elaborazione finale. L’intero processo consentirà quindi di inviare input ad un computer col pensiero.
L’operazione
Al contrario delle tradizionali operazioni neurochirurgiche, l’innesto dei sensori N1 risulterà molto meno invasivo. Attraverso l’utilizzo di un sofisticato robot, simile ad una macchina da cucire, verranno effettuate delle piccole aperture nel cranio, attraverso le quali la macchina procederà con l’innesto dei 96 fili flessibili i quali, passando fra le circonvoluzioni del cervello, andranno ad evitare i vasi sanguigni.
L’operazione ha una durata media di 45 minuti e prevede l’anestesia totale, tuttavia la società sta lavorando a soluzioni alternative che consentano l’utilizzo di anestesia locale. L’idea è di rendere l’intervento ancor meno invasivo, tramite lo sfruttamento di tecnologie come la perforazione micro-ossea.
I possibili utilizzi
A inizio 2020 i prototipi sviluppati potranno essere utilizzati per alleviare problemi cronici come il Parkinson o l’epilessia, tuttavia in futuro lo sviluppo di questa tecnologia potrebbe consentire a pazienti senza arti di riprendere la mobilità o a persone mute di riacquisire l’uso della parola.