Spesso quando si analizza un’azienda si sente parlare di vantaggio competitivo e di come questo sia cruciale per il successo duraturo del business, permettendo l’affermazione dell’impresa nel mercato e nelle menti del consumatore. Le definizioni che sono state date nel corso del tempo sono molteplici, andando dalle più generiche alle più dettagliate. C’è chi lo definisce semplicemente come
<<Capacità dell’impresa di superare gli avversari nel raggiungimento del suo obiettivo primario: la redditività>> (Robert.M.Grant),
chi come
<<La capacità distintiva di un’impresa di presidiare, sviluppare e difendere nel tempo, con maggiore intensità dei rivali, una capacità market driving o una risorsa critica che possono divenire fattori critici di successo” (Enrico Valdani).
Ad ogni modo il vantaggio competitivo è espresso da una maggiore profittabilità rispetto alla media dei concorrenti diretti nel settore di riferimento, in un arco temporale di medio-lungo termine. Esso rappresenta l’insieme degli elementi caratterizzanti l’offerta di prodotti e servizi che permettono all’azienda di convincere i clienti a comprare con regolarità i suoi prodotti invece che quelli dei concorrenti.
La versione di Buffett
Buffett definisce le attività caratterizzate dal vantaggio competitivo come franchise economici. Essi sono composti da prodotti o servizi percepiti come necessari da parte del consumatore, per il quale non riesce a trovare un sostituto accettabile ed il cui prezzo non è regolamentato. La coesistenza di queste tre condizioni consente all’impresa di fissare il prezzo in un modo aggressivo massimizzando il rendimento del proprio capitale.
Secondo l’idea sul ruolo del management di Buffett le buone aziende sono quelle a prova di stupido, ossia aziende che si basano su un business così intrinsecamente forte che riescono a generare profitti anche con una cattiva gestione. Questa concezione si ripercuote anche nell’idea di franchise, secondo Buffett infatti
“I franchise possono tollerare una gestione sbagliata. Managers incapaci possono ridurre la redditività di un franchise, ma non possono infliggere ferite mortali”
L’egemonia nel mercato
Buffett fa notare come in molti settori, ma non in tutti, spesso il vincitore si prende tutto, ossia le economie di scala, grazie all’abbattimento dei costi medi unitari per la produzione di beni, permettono di affermarsi con un dominio quasi assoluto sul mercato. Tuttavia, il franchise non nasce esclusivamente da economie di scala, considerando che la legge del più grasso non può considerarsi valida in tutti i settori, Buffett sottolinea come le aziende che riescono a generare un vantaggio competitivo ed a diventare franchise abbiano delle caratteristiche comuni.
Brand e Franchise
Buffett sostiene che franchise e brand sono due concetti da considerare come distinti in modo netto. Infatti il secondo è caratterizzato da una forte riconoscibilità ma, al di là del fatto che non tutti i brand riconoscibili generano copiosi flussi di cassa, ciò che più condiziona un brand è la maggiore suscettibilità e sensibilità alla concorrenza generica. Infatti, lo status di brand molto noto è raggiungibile attraverso ingenti investimenti in una campagna pubblicitaria. Al contrario il franchise richiede fondamenta più solide. Un esempio lampante che Buffett propone è quello di Marlboro.
Le Marlboro nel 1993 costavano due dollari, ossia il doppio di un pacchetto non di marca, il che equivaleva a 700 dollari in più all’anno per un fumatore medio del tempo, che consumava 2 pacchetti al giorno. Philip Morris, proprietaria del brand, per competere con i produttori generici decise nel 1993 di abbassare il prezzo. Questo portò ad un crollo di 16 miliardi di dollari la capitalizzazione di mercato.
La fonte principale di questo Approfondimento è il libro Investire come Warren Buffett. Strategie di acquisizione e value investing per guadagnare in borsa di Elena Chirkova (Ed. HOEPLI, 2016).