Il primo importante passo verso l’integrazione monetaria internazionale in Europa fu compiuto nel 1946, in seguito alla conclusione della Seconda Guerra Mondiale, con la conferenza di Bretton Woods. In questa si gettarono le basi per la nascita di un sistema monetario mondiale, con un regime di cambi fissi contro il dollaro, indicato come valuta di riferimento internazionale.
L’iniziativa ebbe vita breve, poiché subito messa in discussione dai padri fondatori dell’Europa moderna Alcide de Gasperi, Robert Schuman e Jean Monnet, i quali professavano la costituzione di una solida unione economica e politica tra i Paesi membri. Fu così che in seguito all’Unione Europea dei Pagamenti (1950), la Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio (CECA, 1952) con il Trattato di Roma nel 1957 si diede vita alla Comunità Europea per l’Energia Atomica (EURATOM) ed alla Comunità Economica Europea (CEE), con l’obiettivo di rimuovere le barriere agli scambi commerciali.
Il rapporto Werner
Nel 1969, la forte variabilità dei tassi di cambio delle valute comunitarie, in particolare la svalutazione del franco francese, seguita da un notevole apprezzamento del marco tedesco, spinse i vertici europei alla formazione di un gruppo di esperti, sotto la guida del primo ministro lussemburghese Pierre Werner, con lo scopo di realizzare un’integrazione monetaria europea.
Il rapporto Werner venne pubblicato nel 1970, definendo i principali obiettivi preposti, ovvero il raggiungimento di un’ unione monetaria efficace per realizzare una convertibilità totale ed irreversibile delle monete, la fissazione irrevocabile dei rapporti di parità, la liberalizzazione totale dei movimenti di capitale e l’eliminazione dei margini di fluttuazione dei tassi di cambio.
Il Sistema Monetario Europeo
Nonostante ciò, il rapporto non trovò mai applicazione poichè il sistema di Bretton Woods entrò in fallimento nel 1971, anno in cui doveva partire la prima tappa del nuovo progetto. L’evento fu di tale portata da stimolare le Banche Centrali dei sei Paesi al tempo membri della CEE (Belgio, Francia, Italia, Paesi Bassi, Germania Ovest e Lussemburgo) e dei quattro Paesi che in seguito avevano deciso di aderirvi (Danimarca, Regno Unito, Irlanda e Norvegia) a dare vita ad un regime di cambio europeo, con una banda di oscillazione del 2,25%.
L’egemonia tedesca condusse ad un fallimento anche di questo esperimento, che fu in seguito rimpiazzato, nel 1979 dal Sistema Monetario Europeo (SME), con nuove bande di oscillazione rispetto all’ECU (European Currency Unit), una nuova moneta definita come “paniere” di quantità fisse delle valute degli Stati membri della CEE. La vita dello SME, che sarà di 13 anni, è stata condizionata da due elementi, ossia dalla maggiore importanza riservata alla convergenza economica e monetaria, rispetto a quella reale, e dalla predominanza del marco tedesco nella gestione degli accordi di cambio, andando a costituire la cosiddetta “German Dominance”. Il notevole apprezzamento del marco tedesco, con il quale solo il franco riusciva a mantenersi in linea, portò la maggior parte dei Paesi membri ad uscire dallo SME, conducendo così il sistema stesso al fallimento nel 1992.
La prima idea di moneta unica
Prima che lo SME entrasse in crisi nel 1992, un ulteriore passo verso il raggiungimento di un’Unione Economica e Monetaria lo si ottenne con l’atto unico firmato il 1986. Il documento prevedeva che un sistema senza frontiere non potesse in alcun modo definirsi unito ed integrato in assenza di una moneta unica. Questa avrebbe costituito una maggiore trasparenza dei prezzi per investitori e consumatori, eliminato i costi di transazione ed i rischi di cambio all’interno del mercato unico, contribuendo quindi al benessere economico della Comunità. Condiviso il progetto, il Consiglio di Hannover, nel 1988, affidò ad un gruppo di esperti guidato dal presidente della Commissione Europea Jacques Delors, il compito di redigere un piano con tappe concrete per il suo raggiungimento.
Il rapporto Delors, il trattato di Maastricht ed il patto di Stabilità e crescita
Il Rapporto Delors, approvato nel 1989 prevedeva tre fasi distinte ma progressive per il raggiungimento dell’UEM. Nella prima fase, durante il 1990, si decise di abolire tutte le restrizioni alla circolazione di capitali tra gli Stati membri e di aumentare il potere delle loro Banche Centrali, il tutto seguito dalla revisione del Trattato di Roma a favore della stesura di un nuovo documento, il Trattato di Maastricht (definito anche Trattato CE), il 7 febbraio 1992.
Nel frattempo venne anche creata una nuova istituzione monetaria, il Sistema Europeo delle Banche Centrali (SEBC), con il compito di perseguire una politica monetaria unica. La seconda fase prevista iniziò nel 1994, con la nascita dell’Istituto Monetario Europeo (IME), organo precursore della futura BCE, teso a rafforzare ulteriormente la cooperazione tra le banche centrali ed a svolgere i preparativi per l’istituzione della SEBC.
Nel 1997 venne adottato il Patto di Stabilità e Crescita (PSC), ovvero la terza fase, approvato a Dublino nel 1996, con limiti e politiche volte a soddisfare i criteri di convergenza economica e legale, quindi con revisioni degli ordinamenti nazionali (art. 109 Trattato CE), per garantire la disciplina di bilancio nell’ambito dell’UEM.
La nascita della BCE
La nascita della BCE, nel 1998, rappresentò la fine dell’IME, posto in liquidazione, e pose le basi per la formazione dell’Eurosistema, comprendente anche le banche centrali dei singoli Paesi. L’ultima fase del processo si aprì nel 1999, con la fissazione irrevocabile dei tassi di conversione delle valute degli Stati aderenti e la concentrazione della politica monetaria nelle mani della BCE.