La start-up WeWork, fondata a New York dall’israeliano Adam Neumann nel 2010 fa del co-working il suo punto di forza. Essenzialmente, la società si occupa di acquistare grandi immobili, per poi trasformarli in piccoli uffici ed aree comuni da affittare alle imprese. In soli 5 anni dalla sua fondazione, la società raggiunse una valutazione di $10 miliardi, tuttavia l’ingresso nell’Olimpo dei grandi arrivò solo due anni dopo, con la decisione della giapponese Softbank di investire nel progetto, portandone la valutazione a $20 miliardi. A fine 2018, Softbank investì altri $3 miliardi nella società, seguiti da $2 miliardi a gennaio 2019. Il risultato fu una valutazione finale di $47 miliardi, superiore a quella di SpaceX e Airbnb.
La domanda di IPO
Sull’onda dell’entusiasmo, il 14 agosto 2019 WeWork presentò domanda di IPO alla SEC, con l’obiettivo di raccogliere un miliardo di dollari, tuttavia fin da subito qualcosa non convinse gli investitori. Innanzitutto, quei $690 milioni di perdite nei primi 6 mesi del 2019, che portarono le perdite complessive negli ultimi 3 anni a circa $3 miliardi. C’era poi un investimento da $13,8 milioni in Wavegarden, un’azienda spagnola produttrice di onde artificiali. Una diversificazione oggettivamente poco sensata.
Tuttavia, ciò che catturò più di tutto l’attenzione degli investitori fu altro problema, di importo quasi irrisorio, ma che denotò una mancanza di attenzione notevole da parte di una società che si stava preparando all’IPO. Dopo aver cambiato il nome della società in The We Company a inizio 2019, Neumann vendette, tramite la sua controllata We Holdings LLC, l’uso del marchio We alla società stessa per $5,9 milioni in partecipazioni. In pratica, un modo per aumentare il suo controllo sulla compagnia.
Il crollo ed il paracadute da $1,7 miliardi
Sotto pressione, Neumann lasciò il ruolo di CEO della società il 24 settembre e l’IPO venne rimandata a data da definire. Per evitare il fallimento, il 22 ottobre Softbank procedette con un’iniezione di capitale da $9,5 miliardi ed assunse il controllo dell’80% della società. Inoltre, assegnò, un paracadute d’oro di $1,7 miliardi a Neumann per dimettersi dal ruolo di presidente del CdA. La compagnia si salvò, ma dopo aver perso quasi 40 miliardi di dollari in valutazione.